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NEWS
19-06-2006 TUTTE LE NEWS
I veri costi e le prospettive dell’energia nucleare
secondo alcune stime di instituti di ricerca americani il costo del kWh nucleare si attesta molto al di sopra delle altre fonti convenzionali e , in prospettiva anche di quella eolica.
 

a cura di Giuseppe Onufrio – Direttore delle Campagne di Greenpeace Italia e Consigliere ISES ITALIA

La crisi negli investimenti nel settore nucleare registrata da un ventennio negli USA ha una ragione semplice: la liberalizzazione del mercato non favorisce il nucleare per ragioni economiche. Per fronteggiare questa crisi di investimenti privati nel nucleare, il Congresso USA ha approvato nel 2005 un incentivo di 1,8 ¢/kWh per l’elettricità da nucleare fino a nuovi 6.000 MW. E, inoltre, la possibilità di accedere a finanziamenti a tasso agevolato fino all’80% del costo di costruzione per impianti innovativi (questo non solo per il nucleare). Se si analizza il dibattito sui costi dell’elettricità da nucleare in quel Paese – che per molti versi è più trasparente di altri - ci si rende conto come i costi attesi per i nuovi impianti siano i più alti tra le fonti convenzionali e, in prospettiva, anche rispetto all’eolico. Non citiamo qui né le stime condotte da Greenpeace sul confronto tra eolico e quelli stimati per l’EPR francese e nemmeno quelli più ottimistici della Nuclear Energy Agency che promuove il nucleare per definizione, ma quello di altre tre fonti “ufficiali” USA.  

Tre stime statunitensi  

Un rapporto del MIT del 2003 (The future of nuclear power) stimava il costo del kWh da nucleare per un nuovo impianto in 6,7- 7,0 ¢/kWh (dollari 2002) e solo intervenendo pesantemente sui costi di investimento iniziale (e nei tempi di costruzione) sarebbe possibile scendere a 5,3 ¢/kWh. Ma l’esperienza ci dice che i costi di investimento sono tendenzialmente sempre cresciuti per questa fonte. Un altro studio dell’University of Chicago del 2004 (The economic future of nuclear power), analizza i diversi scenari di costo e produce un range ampio di 4,7-7,1 ¢/kWh, essendo la stima più elevata relativa a un reattore di nuovo tipo (first-of-akind, foak) dal costo di capitale di 1.800 $/kW costruito in 7 anni. Infine, vanno citate le stime del US DOE (Annual energy forecast 2005), che stima i costi del kWh da nuovi impianti a oltre 6,2 ¢/kWh (dollari 2003).  

Ogni analisi parte da presupposti specifici con cui calcola il costo atteso del kWh e, quindi, possono esservi differenze nelle assunzioni che queste diverse fonti fanno nel calcolo. Un esercizio interessante è dunque quello di confrontare il rapporto dei costi tra l’elettricità da nucleare e quella da altre fonti secondo i diversi autori.  

Se si fa questo esercizio si vede come la stima più favorevole al nucleare tra quelle citate è quella dell’US DOE (Dipartimento dell’energia) per il quale, per i nuovi impianti in funzione al 2015, il kWh nucleare costerà oltre l’11% in più dell’eolico, il 23% in più del gas e il 21% in più del carbone “pulito”. Va rilevato che le valutazioni sul costo del gas e del carbone sono quelle degli scenari ufficiali assunte dal governo USA.  

È interessante notare qui che il differenziale tra nucleare e gas sia stimato in circa 1,2 ¢ di dollaro del 2003, cifra ben minore dell’incentivo gentilmente concesso dal governo americano a favore di questa fonte.  

Valutazioni meno favorevoli sono quelle stimate dallo studio dell’Università di Chicago, per il quale il rapporto tra costo del nucleare su quello del gas da nuovo impianto oscillano nel range di un +27÷58% rispetto al gas e +42÷73% sul kWh da carbone.  

Il differenziale assoluto tra nucleare e gas in questo studio è di 1,2-2,6 ¢/kWh (dollaro 2003). L’incentivo del governo statunitense è quasi a metà di questo range.   

Lo studio del MIT presenta una stima relativa dei costi simile a quella dell’Università di Chicago: +31÷70% sul gas e +60÷66% sul carbone. 

 

Propaganda nucleare  

Se ancora in Italia si fa confusione nella valutazione dei costi è per un “effetto propagandistico” in un momento nel quale i Paesi più nuclearizzati sono impegnati a promuoverne un rilancio per evitarne una crisi profonda che è innanzitutto di natura economica. Questa spinta propagandistica spinge persino alcuni a parlare a sproposito della prospettiva dei reattori autofertilizzanti come se il più grande investimento in questa filiera, il Superphoenìx franco-italo- tedesco (al 33% italiano attraverso Enel) non fosse mai avvenuto.  

Va forse ricordata la vicenda a qualche smemorato? Con un costo stimato in 13.000 miliardi spesi per la costruzione, il reattore è stato fermato dopo pochi anni a causa dei continui incidenti agli scambiatori sodio-acqua.  

Secondola Cortedei conti francese ci vogliono oltre 2 miliardi di euro per lo smantellamento in 25 anni.  

In conclusione, dopo 60 anni di industria nucleare rimangono disattesi tre punti cruciali:  

  1. non esiste un ciclo del combustibile che non abbia rischi di proliferazione (e la filiera dei reattori veloci autofertilizzanti se non fosse fallita sarebbe stata fortemente proliferativa essendo basata sul plutonio); 
  2. la questione della sistemazione di lungo termine delle scorie è tuttora insoluta;
  3. l’uranio estraibile a costi calcolabili è una risorsa piuttosto limitata che non supera i 3,5 milioni di tonnellate. Se ne consumano circa 70.000 tonnellate all’anno,coprendo meno del 7% dei consumi primari di energia. A questo ritmo ce n’è ancora per 50 anni. I nuovi EPR francesi sono progettati per durare 60 anni.

     

 

 

ISES ITALIA