Il che significa che nell’Unione cresce l’efficienza energetica, perché occorre sempre meno energia per produrre un’unità di reddito. L’Italia ha un’intensità energetica tra le più basse d’Europa. Ma, al contrario della media dei paesi dell’Unione, dal 1990 a oggi l’Italia non ha registrato miglioramenti, anzi in molti settori l’efficienza energetica diminuisce. Per produrre un’unità di reddito tendiamo a utilizzare più e non meno energia.
È questa, in buona sostanza, il succo del convegno organizzato dall’Enea ieri a Roma per presentare il «Rapporto sull’efficienza energetica nei paesi europei. La situazione dell’Italia» redatto dall’Ente per le nuove tecnologie, l’energia e l’ambiente. Perché? Perché l’Italia è andata controcorrente ed ha perso lo smalto energetico negli ultimi tre lustri? La risposta a queste domande è molto importante, non solo per valutare la possibilità che avremo in futuro di soddisfare le impegnative richieste di efficienza energetica che ci vengono dall’Unione europea, dal Protocollo di Kyoto e dal «dopo Kyoto». Ma anche per capire cosa sta cambiando – o cosa non sta cambiando – nel nostro sistema produttivo.
Il rapporto dell’Enea non risponde esplicitamente alle domande che abbiamo. Ma se lo studiamo più in dettaglio, possiamo ricavarne informazioni preziose. Nel settore residenziale (case, uffici, negozi) l’Italia ha aumentato l’efficienza energetica in media dello 0,7% annuo tra il 1990 e il 2004 (gli anni presi in considerazione dal rapporto). È il settore dove siamo andati meglio, anche se la nostra efficienza è aumentata meno che in Europa.
Anche nel settore dei trasporti l’efficienza energetica italiana è aumentata, in media dello 0,3% l’anno. Contro lo 0,7% dell’Europa. Qui la differenza rispetto alla media dell’Unione è più marcata. Nel settore industriale, invece, l’efficienza energetica dell’Italia non è migliorata, anzi è peggiorata. In media dello 0,3% l’anno. Mentre proprio in questo settore l’Europa ha ottenuto, per usare le parole dei tecnici dell’Enea «evidenti e spiccati miglioramenti».
È dunque nel settore della produzione di beni che l’Italia fa più fatica a tenere il passo con il resto dell’Europa. Probabilmente a causa della specializzazione produttiva delle nostre industrie, concentrata sulle basse e medie tecnologie e poco propensa all’innovazione di prodotto. Questo tipo di specializzazione produttiva spiega, in larga parte, la divaricazione economica tra l’Italia e il resto dell’Europa: l’Italia cresce meno della media dell’Unione, il reddito pro capite italiano diminuisce costantemente rispetto a quello medio europeo, i salari dei lavoratori italiani sono inferiori del 20-30% rispetto a quelli medi dei lavoratori europei. Ed è responsabile anche della forbice crescente tra Italia ed Europa nel settore dell’efficienza energetica. Dimostrando che l’innovazione è necessaria tanto per l’economia quanto per l’ecologia. (Pietro Greco)
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