Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti. Per maggiori informazioni, leggi l'informativa estesa Cookie Policy.
Chiudendo questo banner, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie.

ITA
Text-A-A-A
Cerca:
Newsletter Conto Energia Lavora con noi Faq Glossario
Home > News > La verità? Per il pianeta terra gli Usa sono un Paese scomodo Invia
stampa
 
 

 
NEWS
15-01-2007 TUTTE LE NEWS
La verità? Per il pianeta terra gli Usa sono un Paese scomodo
Stasera a Firenze l´anteprima del film di Al Gore An inconvenient truth. Un altro passetto per riflettere su come il mercato possa essere indirizzato verso la sostenibilità
 
FIRENZE. An inconvenient truth, una scomoda verità. Questo è il titolo del film che verrà presentato in anteprima questa sera a Firenze e che riproduce la conferenza sull’ambiente che Al Gore va tenendo, ormai da tempo, in tutto il mondo. Una conferenza in cui in maniera assai affabile (e ne abbiamo avuto un saggio al convegno di san Rossore del 2004) ma assolutamente lucida, colui che è stato vicepresidente degli Stati uniti all’epoca di Clinton, battuto per pochi voti da Bush nelle presidenziali del 2000, denuncia l’emergenza planetaria e il rischio che la terra sfiori il collasso se da qua a dieci anni non avremo messo mano ad azioni concrete per contrastare l’effetto serra. In una intervista rilasciata a La Nuova Ecologia (in edicola questo mese), Al Gore anticipa alcuni degli argomenti trattati nel film e sostiene con una punta di orgoglio, che laddove il film è stato proiettato, gli effetti sono stati immediati. Sia a livello individuale che politico. Cita a tal proposito che la California ha emanato una legge che porterà ad una significativa riduzione delle emissioni di anidride carbonica ed altri stati hanno seguito l’esempio. E che ben 330 città degli Stati Uniti hanno in maniera unilaterale aderito al protocollo di Kyoto. E’ proprio l’azione individuale ad essere richiamata da Al Gore, come un tratto saliente per poter smuovere e suscitare cambiamenti a livello di scelte governative. E’ mancato a questo punto all’intervistatore di chiedere allora perché quando Al Gore era a fianco di Clinton, non si siano dati abbastanza da fare perché il Senato ratificasse il protocollo che anche loro in rappresentanza degli Usa avevano votato, alla conferenza delle parti che si svolse a Kyoto nel 1997. Ma forse non era ancora abbastanza radicata nell’allora vicepresidente del paese più importante del mondo, la consapevolezza di quanto fossero reali le previsioni che da parte degli scienziati (anche se non vi era ancora una visione unanime) e degli ambientalisti, venivano fatti sugli scenari del pianeta, per effetto del modello economico ancora attuale. Tanto che dichiara nell’intervista che «solo recentemente abbiamo cominciato a renderci conto di quanto vulnerabile sia la nostra civiltà». E definisce An incovenient truth un film d’azione, perché «ha l’obiettivo di spingere la gente a prendere delle decisioni subito dopo averlo visto». Il suo impegno dichiarato è allora quello di fare in modo che il film, e quindi il messaggio di cui è latore, possa raggiungere il maggior numero di persone possibile, perché si accresca la partecipazione delle persone alla politica perché Al Gore definisce «il legame tra conoscenza e democrazia la più grande sfida che siamo chiamati ad affrontare». Per questo sta formando negli stati uniti gruppi di giovani, perché portino in giro la sua conferenza, “ciascuno a proprio modo”. Ognuno insomma dovrebbe fare come se dipendesse da sé – è si tratta sicuramente di una “buona pratica” da apprezzare - anche se purtroppo pare che oggi la presa di coscienza dell’insostenibilità viaggi a una velocità di gran lunga inferiore a quella della crescita senza freni, dettata da un’economia che comanda la politica (e non viceversa) e che è a sua volta dominata dalle grandi multinazionali. Ma la svolta può arrivare dalla presa di coscienza individuale seppur di massa? E quando? La realtà è che comunque è anche necessario che la politica riesca se non altro a indirizzare il mercato verso la sostenibilità, verso una governance mondiale cogente con i temi della sostenibilità. La riflessione se la pone anche Ulrich Beck, docente di Sociologia presso la Ludwig Maximilian Universität di Monaco di Baviera e la London School of economics: “A chi spetta il compito di arrestare il mutamento climatico” è l’incipit del suo articolo apparso oggi in prima pagina su Repubblica , nel quale arriva a concludere che dopo “lo spauracchio” del comunismo e quindi di quello del terrorismo, il nemico comune contro cui combattere in futuro possa essere proprio il cambiamento climatico. Strade diverse quindi ma che individuano comunque il medesimo obiettivo: quello di uscire dall’inerzia e scongiurare l’emergenza planetaria, convinti che non vi sia alcuna contraddizione tra la protezione dell’ambiente e l’economia, ma anzi che, come ripete Al Gore, «possiamo risparmiare denaro e rafforzare l’economia proprio riducendo l’inquinamento». Peccato allora che alla domanda se vi possa essere la possibilità di una sua ricandidatura alle presidenziali del prossimo anno, Al Gore abbia risposto che non ha nessuna intenzione di ricandidarsi, perché la sua presenza alla casa bianca, dato l’attuale impegno per le questioni ambientali, poteva far sperare davvero ad un ripensamento degli Usa riguardo agli impegni per il prossimo accordo per Kyoto post 2012. E la verità è che per gli Usa quell’accordo è davvero scomodo.

greenreport