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29-01-2010 |
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Gas serra: Ue ed Australia confermano gli obiettivi Unfccc |
Il ministro del cambiamento climatico e dell'acqua dell'Australia, Penny Wong, ha detto che il suo Paese sottoporrà all'Onu un obiettivo ufficiale di riduzione delle emissioni di gas serra come contributo al prossimo ciclo negoziale sul clima e ha confermato che l'Australia non ha abbandonato la speranza di un accordo mondiale sul cambiamento climatico e che manterrà la sua promessa di ridurre le emissioni dal 5 al 25%. |
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Una promessa che in molti criticano per la "forchetta" troppo ampia delle percentuali di riduzione e che fa pensare ad un riallineamento verso il basso quando i nuovi negoziati sul clima arriveranno davvero al dunque.
L'accordo-flop di Copenhagen, non obbligatorio, prevede comunque che i Paesi (in particolare quelli industrializzati) comunichino entro il 31 gennaio il loro obiettivi di riduzione delle emissioni entro il 2020. Il solito Canada, molti Paesi in via di sviluppo ed alcuni emergenti, come l'India, hanno già annunciato che non potranno (o non vogliono) rispettare il termine previsto dall'accordo di Copenhagen che somiglia sempre più ad un colabrodo. Secondo alcuni commentatori diversi Paesi approfitteranno di questo per riaggiustare al ribasso i loro precedenti obiettivi. Non sembra volerlo fare l'Unione europea che ha confermato la sua volontà di rispettare l'accordo di Copenhagen.
La presidenza di turno spagnolo dell'Ue e la Commissione eropea hanno scritto congiuntamente una lettera all'Unfccc per confernare il sostegno dell'Ue e dei suoi 27 Stati membri all'accord di Copenhagen, esprimendo anche la volontà di arrivare ad un accordo giuridicamente obbligatorio sul cambiamento climatico per il post-2012. Nella lettera inviata all'Unfccc si legge: «Come vuole l'accordo di Copenhagen, l'Ue notifica ugualmente quel che si è fissata in materia di riduzione delle sue emissioni di gas serra entro il 2020: grazie al suo pacchetto legislativo sull'energia e il cambiamento climatico, l'Ue dispone già di una legislazioone che prevde una riduzione del 20% dei gas nocivi per il clima in rapporto ai livelli del 1990. A titolo di contributo ad un accordo planetario e globale, l'Ue mantiene la sua offerta condizionata di una riduzione del 30%, purché altri Paesi sviluppati prendano l'impegno di pervenire a riduzioni paragonabili delle loro emissioni e che i Paesi in via di sviluppo contribuiscano alo sforzo in maniera appropriata, in funzione delle loro responsabilità e delle ,loro capacità».
L'Unione europea informa anche che «Il suo impegno unilaterale in vista di ridurre le sue emissioni del 20% in rapporto ai livelli del 1990 è stato trasposto nella legislazione comunitaria». Il ministro spagnolo dell'ambiente e degli affari rurali e marittimi, Elena Espinosa, ha sottolineato che «La presidenza spagnola rafforzerà ed estenderà al massimo il consenso riguardante l'accordo di Copenhagen nel quadro del processo delle Nazioni Unite. Lavoriamo congiuntamente con i nostri partner per mettere in opera i contenuti dell'accordo di Copenhagen,così come tutto quel che è possibile per fare in modo che la conferenza delle Parti del Messico sia un successo. Oltre alle sue capacità ed alla sua esperienza nell'integrazione del cambiamento climatico nel suo modello di crescita e di sviluppo e nelle sue relazioni con i Paesi terzi, l'Unione europea ha anche una responsabilità storica. La presidenza spagnola valuta in maniera positiva gli annunci fatti fino ad adesso da diversi Paesi e incoraggia quelli che hanno sostenuto l'accordo di Copenhagen ad esprimere i loro impegni il più presto possibile. I Paesi che hanno sostenuto l'accordo di Copenhagen sono responsabili di più dell'80% delle emissioni globali di gas serra e l loro volontà di agire congiuntamente è una sfida che deve essere rafforzata ed attualizzata in accordo con i progressi della scienza».
Su questo tema è intervenuto il ministro spagnolo della scienza e dell'innovazione, Cristina Garmendia, che nel corso di un'audizione alla Commissione per l'industria, la ricerca e l'energia (Itre) del Parlamento europeo, ha messo la ricerca e sviluppo (R&D) al centro del progetto europeo come elemento chiave della ripresa economica.
La Gaermendia ha spiegato le sue priorità ed ha detto che «La presidenza spagnola dell'Ue farà in modo che le iniziative in materia di R&D n messe in opera all'interno dell'Europa rispondano meglio alle grandi sfide quali le nuove fonti di energia, il cambiamento climatico, la salute e l'invecchiamento e, il particolare, alla ripresa della crecita economica. Così la Spagna metterà in evidenza il ruolo che la scienza può svolgere nelle nostre sfide più importanti, nelle nostre preoccupazioni quotidiane e nella ripresa della crescita economica. Senza più scienza e senza più innovazione e, soprattutto, senza la necessaria interazione tra queste due attività, l'Europa non potrà mantenere la sua posizione di leadership ed ancor meno aspirare a rafforzare la sua posizione sulla scena mondiale. Se non prendiamo delle iniziative per evitarlo, nel 2025 la maggioranza della scienza sarà prodotta al di fuori dei Paesi che fino ad oggi sono stati considerati i leader in questo settore, tra questi numerosi europei. Da sole, la Cina e l'India rappresenteranno circa il 20% della R&D mondiale, vale a dire il doppio della loro quota parte attuale».
greenreport.it
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