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30-01-2006 |
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Brindisi, braccio di ferro sul gas |
Rigassificatore bloccato da anni dai veti locali. Ma la British tiene duro
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BRINDISI - Lo vogliono o no ’sto rigassificatore? Attorno all’impianto della British Gas, qua nel tacco d’Italia, sembra ruotare il destino energetico del Paese, e gli oppositori sembrano quelli che vogliono lasciarci al freddo: untori, utopisti, anche masochisti. E, con le elezioni alle porte, Brindisi vive un’insolita stagione di convergenze parallele, Regione e Provincia ”rosse” e Comune ”azzurro” d’accordo nel dire no all’impianto. Il bello è che le passate tre amministrazioni, di colori esattamente opposti, erano per il sì.
Insomma, un macello. Da trecento milioni di euro, quelli investiti dagli inglesi per l’opera in grado di scongelare fra un paio d’anni otto miliardi di metri cubi di metano, riportandolo da meno 162 gradi allo stato gassoso per poi infilarlo nei tubi della distribuzione. Manifestazioni, contromanifestazioni, ricorsi (perduti dagli oppositori) al Tar e al Consiglio di Stato, un altro ricorso in sede giudiziaria, anche questo perduto, eppure il braccio di ferro va avanti. Dice Nichi Vendola, presidente della Regione, che Brindisi ha già dato. «Il consiglio regionale all’unanimità mi ha impegnato a impedire la costruzione del rigassificatore nel porto di Brindisi. Le autorizzazioni già ottenute? Per piacere, la precedente giunta comunale è stata travolta dagli scandali. La realtà è che Brindisi deve recuperare un porto multifunzionale, e non un semplice punto di trasformazione che alla città non lascia nulla.» Parla di fotovoltaico, di solare, di biomasse, di eolico, di impatto ambientale, di elevata concentrazione a Brindisi di impianti ad alto rischio. E conclude: «Il nostro non è un no ideologico e aprioristico, ma a quella localizzazione.»
C’è un problema, però: la British sarebbe disposta a rifare tutto l’iter burocratico per una nuova autorizzazione quando ha già avuto il via e i primi lavori del rigassificatore sono in corso? No. Così, se a Brindisi destra e sinistra convergono nell’opporsi al rigassificatore, il destino vuole che a Roma siano d’accordo sul contrario: cinque impianti al via in Italia, ma gli enti territoriali si oppongono, lamenta il ministro Claudio Scajola; se andremo al governo, ci impegniamo a costruire cinque impianti in due anni, rincara Enrico Letta. E l’Enel non finisce di spingere per non essere più succubi dei gasdotti e del ”non fare”. E’ l’impatto ambientale che preoccupa i contrari all’impianto, però, nonostante le rassicurazioni; è l’elevata incidenza di tumori a Brindisi, che prevale anche su un tasso di disoccupazione del 12 per cento in una città di novantamila abitanti.
«E basta darci addosso!» sbotta Domenico Mennitti, già deputato missino e oggi sindaco forzista in linea con il rifondatore Vendola. «Brindisi produce già il 18 per cento dell’energia italiana con le tre centrali Eni, Enipower ed Edipower. E il rigassificatore dovrebbe sorgere proprio a ridosso di questi impianti.» E agli otto milioni di tonnellate di carbone sbarcate ogni anno nel porto. Il sindaco teme che la città sarebbe soltanto un collettore di gas senza godere di alcun beneficio. Nemmeno sul piano occupazionale: qualche migliaio di operai per costruirlo, il rigassificatore, poi sì e no un’ottantina per mandarlo avanti. «Vorremmo invece un chiaro modello di sviluppo, un porto che giochi la sua partita nel Mediterraneo...» Sì, ma il Veneto accetta il rigassificatore, Livorno anche. «Per forza, nasceranno a mare, offshore.» Mennitti non deflette nemmeno di fronte all’ultima mazzata della magistratura, che in fondo ha riconosciuto il titolo del Comune di interessarsi della salute dei cittadini. L’appello, così, sarà fitto di documentazione. E conclude: «Pretendevano di farci recuperare posti di lavoro con la chimica primaria. Bene: il vecchio petrolchimico ha avuto fino a 4500 dipendenti, oggi ne ha ottocento appena.»
Le tre centrali ”storiche” producono quattromila megawatt, l’inquinamento da carbone aumenta, il turismo verso Est cala (da un milione a seicentomila passeggeri in pochi anni). «Il rischio è che dobbiamo fare il rigassificatore senza niente in cambio» avverte Salvatore Tomaselli, presidente della Camera di Commercio. «Abbiamo un milione di metri quadrati di banchine portuali: dovremmo chiedere un terminal container, visto che fra pochi anni nel Mediterraneo se ne muoveranno trenta milioni più di oggi; e sfruttare l’industria del freddo che nascerebbe col rigassificatore. Il muro contro muro avrà un solo sconfitto: Brindisi.» (SANDRO VACCHI)
ilmessaggero.caltanet.it
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