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01-08-2006 |
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Febbre eolica |
Moratti, Brachetti, Garrone. Tutti a caccia di terreni battuti dal vento. Per un nuovo business. Che regge su ricchi incentivi |
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Là dove il vento soffia a più di 8 metri al secondo, sulle aspre montagne irpine note finora solo per il disastroso terremoto, il fior fiore della finanza fa la fila per investire. Ma anche sulle serre della Sila, o nella Sicilia occidentale, dove unico business erano le saline e il marsala, emissari di banche internazionali annusano l'aria, per vedere se si muove. Tutti pronti a dare la caccia ai terreni migliori, a intercettare i 'facilitatori' di pratiche meglio inseriti con le amministrazioni locali, a convincere contadini a cedere il loro avamposto più turbinoso, a prospettare piogge di royalties sulle comunità. Soldi al vento, perché è proprio l'energia eolica che sta facendo del Sud d'Italia un nuovo Eldorado. Finanziato dalle banche, disposte a offrire fondi senza fiatare anche a piccoli imprenditori alla prima esperienza, nuovi operatori del kilowattora attirati dal basso investimento e dal rendimento sicuro.
I big, che prima snobbavano il settore, si sono svegliati e si muovono con munizioni sostanziose. Vuole raddoppiare la sua produzione eolica in Italia l'Enel, che ha appena messo in funzione un parco eolico da 54 Mw in Sardegna, punta al raddoppio nel segmento per il 2010 e va a caccia di affari anche in Francia e Spagna, con il portafoglio gonfio di 2,3 miliardi di euro. Per la conquista di Enertad, una piccola società di energia eolica (che oggi ha 67 Mw, ma punta a raggiungere i 350 in tre anni), è scesa in campo la Erg dei Garrone (già in joint venture nel settore con gli spagnoli di Acciona), impegnandosi in una partita che vede come antagonista la Alerion di Giuseppe Garofano (con soci eccellenti come Alfio Marchini). Nell'eolico hanno investito i Moratti con la Sardeolica; la Api dei Brachetti Peretti, che ha acquistato un impianto di uno storico 'developer' pugliese, Filippo Sanseverino e ora vuole incrementare; s'è lanciato il gruppo Falck, che sogna di operare su una 'dorsale del vento' dall'Inghilterra all'Italia fino al Marocco, e anche il gruppo De Benedetti (editore di questo giornale) con Sogenia, la sua società per la produzione elettrica. Le spagnole Endesa e Iberdrola hanno già iniziato lo shopping da noi e hanno opzionato centrali in costruzione in Basilicata e Calabria dalla Gamesa, secondo gruppo continentale nella produzione di torri e pale. Il gigante assicurativo tedesco Allianz ha comprato una centrale da 72 Mw in Sicilia inserendola nel bouquet dei suoi investimenti. E come primo operatore eolico italiano si è appena piazzato il fondo irlandese Trinergy: ha infatti rilevato la proprietà di gran parte degli impianti eolici in portafoglio alla Ivpc, la società dell'avvocato avellinese Oreste Vigorito, il re dell'eolico made in Italy, più grande di Enel ed Edison messe insieme. Il fondo prenderà l'affitto per gli impianti; la Ivpc ne curerà il servizio.
Le cifre fanno riscontro a questa frenetica attività. Nel 2005 la produzione ha conosciuto un improvviso boom: dei 1.800 megawatt oggi attivi, 500 sono partiti l'anno scorso. E altri sono già in fila per il via. Le amministrazioni regionali del Mezzogiorno, baciate dall'inaspettata fortuna di essere le più ventose della penisola, sono intasate di domande di costruzione. Le previsioni disegnano una crescita verticale. Di qui al 2012 l'associazione di categoria, l'Anev, vorrebbe raggiungere i 9.500 Mw istallati, per evitare grazie all'eolico le penalità di quasi 2 miliardi di euro che l'Italia rischia di beccarsi per non aver rispettato il Protocollo di Kyoto sul taglio emissioni di CO2. Più realisticamente, si arriverà a 3 mila Mw al 2010. Di certo, si tratta di un trend internazionale: in Europa, Germania e Spagna guidano la classifica di nuovi impianti e la Francia si sta aprendo, ma in tutto il mondo la crescita dell'energia da fonti rinnovabili è guidata dal vento, dal sole, dall'acqua e dalle biomasse. Certo, anche se aumenteranno tutte insieme di cinque volte in quantità, queste fonti energetiche rappresenteranno nel 2030 meno del 2 per cento della domanda mondiale, fa notare il centro studi Rie. Ma, considerando il punto di partenza, è comunque un boom. Terna, la nostra società delle rete elettrica, registra una crescita del kilowattora eolico nel Sud e nelle isole del 53 per cento da inizio 2006.Per spiegare l'avanzata delle turbine eoliche nello stivale non basta dire che si tratta di energia pulita che ci salverà dai gas-serra, né che con l'impennata del petrolio a livelli mai sognati altre energie prima costose diventano improvvisamente convenienti. Il segreto del mulino a vento sta nel fatto che è alla portata di tutti. La 'fiche' per puntare sulla roulette dell'eolico può essere di due-tre milioni di euro (uno a megawatt): un impianto modesto sì, ma molto diffuso nella realtà. E farseli dare da un banca non sarà difficile, considerando che l'eolico è fortemente incentivato. Gode cioè di due vantaggi. Primo: l'energia prodotta ha diritto di priorità e di ritiro obbligatorio da parte del Gestore della rete. Secondo: il suo prezzo non è quello di mercato, come per gli altri produttori, ma ha una remunerazione extra, il certificato verde. In cifre, questo fa dell'eolico un kilowattora di lusso: sui 17,8 centesimi riconosciuti al suo produttore, solo 7 rispecchiano la quotazione di Borsa. Il resto, cioè 10,8 centesimi, sono soldi garantiti dal certificato verde. In totale questo fa sì che il business eolico, che ha fatturato l'anno scorso 340 milioni di euro, ne abbia incassati 193, e quindi più della metà, a titolo di incentivo. A carico della collettività. Senza alcun rischio di impresa. "Un meccanismo disancorato dal costo effettivo e dal reale svantaggio di cui soffre rispetto alle produzioni tradizionali", scrive in un rapporto del Rie un esperto di energia come l'ex ministro Alberto Clò. Il quale stima quel costo effettivo di produzione in una cifra piuttosto esigua: 0,065 euro per kilowatttora. Meno del costo di produzione dell'energia da metano, che è di 0,08 a kwh. Insomma, il profitto netto calcolato dal Rie è di 0,11. Che corrisponde al 60 per cento del prezzo. A conti fatti il nostro signor Rossi che si è buttato nell'impresa eolica con il suo impianto da 3 Mw si ripaga l'investimento senza fatica in tre-quattro anni. Dopo, fino a 12 anni dall'investimento, quello che incassa sarà guadagno pulito. "Il rendimento di questa impresa è del 13-14 per cento dopo le tasse", calcola Vigorito, fondatore e guida della Ivtc, considerato pioniere e leader del settore.
Questo dà l'idea del perché tanto interesse. Anche l'energia solare degli impianti fotovoltaici domestici (e quindi di piccole dimensioni) è fortemente incentivata, tanto da attirare anch'essa nuovi protagonisti, che secondo l'allarme del Gestore della rete hanno già saturato le domande ammesse per tutto il 2006. Si va dal gruppo Marcegaglia a Francesco Micheli, pronto a entrare in una società nuova di zecca creata ad hoc, la Solar Ventures. Sempre per il solare si fa il nome di Franco Tatò in alleanza con la Italgest della famiglia pugliese De Masi. Tutti allettati dall'incentivo accordato sotto forma di supertariffa (per vent'anni) e dalla solita garanzia di ritiro. Stima corrente del rendimento: 9-10 per cento. Rischio: nullo.
All'ombra delle energie rinnovabili c'è un'altra categoria di persone che sta facendo affari. Sono i procacciatori di licenze: liberi professionisti in buoni rapporti con le amministrazioni pubbliche che devono dare il via libera alle domande per i nuovi impianti. Architetti, avvocati, geometri, faccendieri che sanno come superare i passaggi della burocrazia locale. Ruolo fondamentale per un iter a rischio sovrintendenze e Tar. Inquadrato nel mirino dalle associazioni ambientaliste come Italia nostra, che è contraria all'eolico. Ebbene, i 'developer', come amano definirsi, incassano le autorizzazioni e le rivendono. Prezzo di listino: tra i 150 e i 200 mila euro a Mw. A seconda della qualità del vento.
(Paola Pilati - l'Espresso)
espresso.repubblica.it
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