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18-01-2007 TUTTE LE NEWS
Energie rinnovabili, l’eolico vale una scommessa
Il petrolio rimbalza sui 53 dollari al barile, recuperando dai minimi degli ultimi 20 mesi; ma l’attenzione resta incentrata sul tema dello sviluppo delle energie rinnovabili, più che sull’andamento a breve delle quotazioni dell’oro nero. Così si scopre che se sul nucleare restano dubbi, sull’eolico le prospettive si fanno ogni giorno più interessanti.
 
Il petrolio rimbalza dei minimi degli ultimi 20 mesi e, complice le rinnovate dichiarazioni di nuovi tagli della produzione petrolifera dei paesi Opec, torna ad oscillare attorno ai 53 dollari al barile; commossi ringraziano nell’ordine i metalli preziosi e le quotazioni dei principali attori del settore petrolifero mondiale. Meno sensibili all’andamento dell’oro nero si sono dimostrate, non solo in questo frangente, le quotazioni dei principali gruppi dell’energia. Un evento che non deve sorprendere: se l’equazione petrolio=energia è stata, sia pure con una certa approssimazione, una buona descrizione della realtà per molti decenni, da qualche anno è cresciuta la consapevolezza che si dovranno sempre più sviluppare fonti energetiche rinnovabili: idroelettrica, eolica, fotovoltaica o nucleare che sia. In una recente intervista al Financial Times la presidente di turno dell’Unione europea, il cancelliere tedesco Angela Merkel, ha ribadito, ad esempio, l’importanza di giungere ad una politica energetica europea comune, che ancora manca nonostante le numerose enunciazioni di principio a favore, preannunciando una fase di riflessione sul nucleare. Negli scorsi giorni la Commissione Ue ha invece diffuso un sondaggio secondo il quale l’80% dei cittadini europei è a favore dell’energia fotovoltaica (il “solare”), il 71% dell’energia eolica, il 65% quella idroelettrica. Tra le fonti convenzionali quella preferita è invece il gas (42% degli intervistati), mentre il petrolio raccoglie solo un 27% di consensi, poco più del carbone (26%) con l’energia nucleare che raccoglie appena il 20% dei consensi. Un risultato che non dovrebbe sorprendere visto che le tecnologie attuali non hanno risolto il problema di fondo, quello dello smaltimento in modo sicuro e senza danni per l’ambiente e le persone delle scorie di tale produzione energetica. Ma i dati della Commissione Ue vanno oltre il mero gradimento delle varie alternative: l’indagine avviata dalla Commissaria alla concorrenza Neelie Kroes nel 2005 per il settore energetico, presentata la scorsa settimana, mostra come le iniziali liberalizzazioni siano ben distanti dall’aver prodotto effetti rilevanti in termini di maggiore apertura alla concorrenza. Ad oltre dieci anni dall’avvio del processo di liberalizzazione siamo ancora lontani da un mercato unico dell’energia competitivo e funzionante a dovere ed a farne le spese sono aziende e consumatori privati. Per quanto riguarda l’Italia in particolare la Commissione sottolinea “motivi di preoccupazione” nonostante la strada fin qui percorsa. Il controllo da parte dell’Eni di “tutte le infrastrutture di importazione del gas”, ad esempio, impedisce il pieno sviluppo della concorrenza. Mentre in tutta Europa la maggior parte degli operatori storici hanno almeno l’80% del mercato del gas nazionale “e anche in molti mercati dell’elettricità il livello di concentrazione è molto alto”. Resta poi il problema di una “insufficiente separazione della proprietà tra le reti di trasporto dell’energia ed i produttori”, che secondo la Commisione sarebbe “assolutamente il modo più efficace per garantire una scelta agli utilizzatori di energia e incoraggiare maggiori investimenti”. In Italia anche in questo caso gli operatori storici “hanno mantenuto una posizione dominante nei propri rispettivi mercati ed esercitano un notevole potere di mercato”, con prezzi dell’elettricità “sostanzialmente più elevati” rispetto alla gran parte dei paesi Ue, mentre l’interesse per l’elettricità importata a prezzi più bassi p”rovoca un serio problema di congestione sulle linee di interconnessione”, quasi a dire: il rischio black-out resta elevato. Conclusione: “nonostante un forte sviluppo nei settori dell’eolico, del biogas e del biodiesel l’Italia è ancora molto lontana dal raggiungere gli obbiettivi fissati sia a livello nazionale sia a livello europeo”. Forse anche per questo l’ex monopolista elettrico italiano, l’Enel, appare impegnato in questi ultimi mesi nel tentativo di colmare il gap rispetto agli obiettivi posti dalla Direttiva comunitaria 2001/77/CE (produrre entro il 2010, il 25% del consumo nazionale di energia da fonti rinnovabili, cosa che richiede ancora almeno 8.000 Mw di nuova potenza da istallare), in competizione con altri gruppi come Erg-EnerTad, nonostante l’apparente diffidenza (o sarà poca conoscenza?) degli italiani, che con un 63% di opinioni a favore degli aerogeneratori sono all’ultimo posto in Europa insieme agli inglesi per quanto riguarda il gradimento specifico di tale forma di energia rinnovabile. Intanto secondo il rapporto presentato in dicembre da Greenpeace Italia e Ises Italia, il mercato dell’eolico è andato espandendosi in tutto il mondo ad una velocità di gran lunga superiore in confronto alle altre fonti rinnovabili, con una potenza installata a livello mondiale cresciuta di 12 volte negli ultimi 10 anni, da circa 4.800 MW nel 1995 a 59.000 MW a fine 2005, per un un fatturato mondiale che a fine 2006 dovrebbe aver superato i 13 miliardi di euro. Nel 2005 i primi Paesi per potenza installata erano la Germania (18.428 MW), la Spagna (10.027 MW), gli Stati Uniti (9.149 MW), l’India (4.430 MW) e la Danimarca (3.122 MW). In Italia risultavano circa 1.700 MW, di cui 452 MW nel corso dello stesso 2005 (il 3,9% della nuova capacità istallata). All’aumento del mercato di riferimento (e in parallelo al drastico rincaro dei prezzi delle energie fossili) ha poi fatto riscontro un calo dei costi di produzione, che nei migliori siti è ormai paragonabile a quella degli impianti a carbone o a gas ed è destinato a calare ancora sino ad arrivare entro il 2020 a 3-3,8 centesimi di euro/kWh per siti con condizioni ottimali di ventosità, e a 4-6 centesimi di euro/kWh per siti di media ventosità. Secondo Greenpeace queste e altre considerazioni portano a concludere che anche con la tecnologia attuale è ipotizzabile arrivare a generare con l’eolico un quinto di tutta l’energia mondiale (un risultato già raggiunto, ad esempio, a livello nazionale in Danimarca). Scommettere sull’eolico si può e probabilmente conviene, ma quali sono i nomi? Per restare in Italia, tra i produttori vi sono appunto Enel, che ancora a inizio anno ha annunciato la sigla di accordi per due campi eolici per una potenza complessiva di 250 MW in Kansas e di 27 MW nel Newfoundland e Labrador, in Canada (e che nelle fonti rinnovabili conta di investire in nuova potenza, per 1.700 MW aggiuntivi in 5 anni, 3,3 miliardi di euro oltre a 200 milioni di euro per progetti innovativi come l'impianto solare “Archimede”, le biomasse e i bio-combustibili), ed Erg-EnerTad-Alerion (che conta di raggiungere come Erg i 300 MW di potenza complessiva entro il 2008, cui si sommeranno 350 MW di EnerTad entro il 2009 e i 250 MW di Alerion, sempre entro il 2009). Tra gli sviluppatori di siti spicca il contributo del gruppo avellinese Ivpc, leader nel mercato eolico italiano grazie a 31 parchi istallati, in joint attraverso due venture paritetiche con Tomen Power Europe Bv e con Edison Mission Wind Power Italy Bv, per 472 MW di potenza complessiva a fine 2005. Infine i generatori veri e propri sono principalmente prodotti da Vestas, che ha la sede italiana a Taranto (Vestas Italia), Gamesa, Enercon, Ge Energy e REpower. (Luca Spoldi)

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