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15-12-2010 |
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Fotovoltaico e agricoltura: conflitto o sinergia? |
Il fotovoltaico può rappresentare un'interessante occasione di rilancio dell’agricoltura italiana. Come? Puntando sulle soluzioni tecnologiche innovative in grado di convivere con la produzione agricola. In questo modo si aumenta il valore aggiunto delle coltivazioni, si crea occupazione, si evita l’abbandono dei suoli, il tutto ovviamente grazie ai proventi del solare. Così Gianni Silvestrini in un intervento che pubblichiamo su ZeroEmission |
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Il fatto che, contrariamente a tutte le aspettative, a Cancun si sia riusciti a rimettere in moto l'ecodiplomazia del clima rappresenta una potente spinta per il rilancio delle politiche sull'efficienza energetica e le fonti rinnovabili. Solo a Durban, in Sud Africa, il prossimo dicembre si capirà se e come si definiranno obbiettivi vincolanti per tutti i paesi. Ma, intanto, si è evitato il rischio di avere una molteplicità di obiettivi nazionali non sufficientemente ambiziosi e si sono create le condizioni per definire strumenti comuni di intervento come l'introduzione di una carbon tax, l'estensione dell'Emissions Trading per le industrie energivore, l'analisi e il conteggio del contenuto di carbonio dei prodotti venduti.
Nell’arco di questo decennio il comparto del fotovoltaico, grazie ad una crescita rapidissima ed a prezzi decrescenti, può guardare con fiducia a traguardi quali la installazione su livelli di uno o più GW/anno in molti paesi e, contemporaneamente, pensare di soddisfare una quota crescente del miliardo e mezzo di uomini e donne che non hanno ancora accesso all'elettricità. Il fotovoltaico mondiale, in questo momento, è esultante ed al tempo stesso inquieto alla luce dei suoi stessi successi. Nel 2010 si è installata una potenza doppia rispetto all’anno precedente, circa 15 GW, mentre il 2011 dovrebbe vedere un’ulteriore crescita, seppure più contenuta, ed una riduzione dei prezzi.
Ma l’accelerazione del comparto, con domande in lista d’attesa per decine di GW, hanno preoccupato molti governi europei. La risposta è stata differenziata: si è passati da una riduzione accettabile degli incentivi (Germania e Italia) a tagli drastici della “feed in tariff” spesso accompagnati dalla definizione di tetti annui massimi di potenza (Francia, Spagna, repubblica Ceca). Gli Usa dovrebbero invece proseguire la loro crescita, anche se in tono minore vista l'assenza di un conto energia nazionale, ma con una accelerazione che si dovrebbe manifestare già nel 2012, mentre il Giappone punta a recuperare le posizioni perdute da quando, nel 2006, tolse un po’ troppo anticipatamente gli incentivi. La Cina, infine, scalda i muscoli con un conto energia per l’edilizia e grandi centrali a terra in attesa di partire.
L’Italia è andata bene, con l’installazione di 1,5 GW nel 2010 (dato che, se confermato, consoliderebbe il secondo posto nel mondo già registrato nel 2009) e con il progressivo irrobustimento della propria struttura produttiva. La riduzione degli introiti solari nel 2011, legata al nuovo conto energia, è peraltro limitata all'8-20% considerando anche la vendita dell’energia e avrebbe potuto essere anche più incisiva. Ottima la diffusione degli interventi sugli edifici, che ormai hanno superato quota 100.000, mentre è oggetto di crescente preoccupazione la realizzazione di impianti a terra di grandi dimensioni.
Più volte avevamo sottolineato il rischio connesso con queste centrali per la loro invasività e per la prevedibile creazione di opposizioni locali con il rischio di incrinare il grande favore di cui gode questa tecnologia presso l’opinione pubblica. Tra i soggetti preoccupati per la realizzazione dei grandi impianti troviamo ambientalisti, organizzazioni di settore come Coldiretti, presidenti di Regione. Le obiezioni sono di carattere paesaggistico e legate al rischio di sottrarre terreno utile all’agricoltura. La risposta istituzionale è venuta con lo schema di Decreto Legislativo approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 3 novembre 2010 che fissa ad 1 MW la potenza massima realizzabile in suolo agricolo e che prevede che la superficie della proprietà coinvolta sia circa dieci volte superiore a quella necessaria all'impianto. Era una reazione prevedibile a fronte di centrali come quella da 70 MW realizzata a Rovigo e a molti altri progetti di dimensione anche maggiore in via di autorizzazione.
Ma siamo certi che la risposta sia corretta? Prendiamo il caso delle vaste aree del sud incolte o coltivate a grano e a forte rischio di abbandono. Il fotovoltaico in questi casi può rappresentare una interessante occasione di rilancio dell’agricoltura. Come? Realizzando impianti ad inseguimento con fondazioni infisse nel terreno senza uso di calcestruzzo, con terreno libero sotto i pali distanziati tanto da consentire la produzione agricola. Si aumenta così il valore aggiunto delle coltivazioni, si crea occupazione, si evita l’abbandono dei suoli, il tutto ovviamente grazie ai proventi del solare. E’ proprio il fotovoltaico infatti che consente di investire per le opere di irrigazione che vengono posate assieme ai cavidotti. Questa impostazione andrebbe garantita anche dal punto di vista normativo, esattamente come avviene per le serre solari. I proprietari degli impianti fotovoltaici dovrebbero infatti presentare agli Assessorati competenti delle Regioni un rendiconto annuale della produzione agricola validato da un professionista. Non solo, ma questi “impianti verdi” potrebbero fungere da catalizzatore per il miglioramento agricolo anche dei terreni contigui. Vedete, come cambia il quadro? Dall’antagonismo tra fotovoltaico agricoltura passiamo ad un rilancio delle coltivazioni.
Ovviamente ci sono delle limitazioni di potenza da osservare. Occorrono taglie sufficientemente grandi da attrarre investimenti, ma non troppo estese per evitare danni al paesaggio. Impianti da 3 - 5 MW, su superfici di 15-30 ettari diffusi in molte aree meridionali consentirebbero un’equilibrata e positiva interazione tra solare ed agricoltura. Exalto sta percorrendo la strada del binomio solare ed agricoltura, peraltro con l’utilizzo di tecnologie fotovoltaiche a concentrazione, fortemente innovative e ad alta resa, ed è orgogliosa di questo percorso che può incrementare l'occupazione reale nel sud del paese. In un viaggio recente in Israele ho visto impianti ad inseguimento fotovoltaici immersi in un vigneto. Era una visione armonica e il segno di un futuro possibile.
Per quanto riguarda le superfici necessarie al solare è bene ricordare le dimensioni di cui parliamo. Se infatti volessimo teoricamente coprire tutta la domanda elettrica nazionale col fotovoltaico dovremmo utilizzare il 2% del territorio nazionale. Considerando che la metà della potenza potrebbe essere installata sugli edifici, solo l’1%, del territorio, un mix di aree agricole ed aree abbandonate, verrebbe solarizzata. Da questi ordini di grandezza si comprende come, anche in un’ipotesi estrema, si andrebbe a toccare un’area molto limitata del paese. Detto questo, ovviamente, la scelta dei territori in cui installare gli impianti va fatta accuratamente, evitando i paesaggi rurali storici e ponendo grande attenzione all’inserimento nel paesaggio e prevedendo efficaci misure di mitigazione.
La proposta, contenuta nello schema di Decreto Legislativo sopra citato, di consentire la realizzazione di impianti su un'area limitata, ad esempio un decimo, dell'area agricola totale della proprietà porterebbe al risultato di solarizzare in maniera intensiva un'area concentrata dei terreni disponibili, senza peraltro alcuna sicurezza che la parte restante venga coltivata. Ma vi è un'altra riflessione che spinge verso la possibilità di realizzare centrali a terra, seppure di dimensioni contenute. La imprevista rapidità della diffusione del fotovoltaico e la conseguente riduzione dei costi rendono infatti proponibili e necessari obbiettivi molto più ambiziosi rispetto alle valutazioni di qualche anno fa.
Il contesto del fotovoltaico mondiale è cambiato negli ultimi 3-4 anni ad una velocità imprevedibile. Basti ricordare l'evoluzione delle stime contenute nelle varie edizioni del rapporto “Solar Generation” elaborato da Greenpeace insieme ad Epia, l'associazione europea delle imprese fotovoltaiche. Nel 2006, ad esempio, si prevedeva per il 2010 un livello di installazioni pari a 5,5 GW (il doppio rispetto a quanto era stato indicato nella edizione 2001). Ebbene, malgrado le ripercussioni della grave crisi economico finanziaria, malgrado la quasi scomparsa dell'importante mercato spagnolo, nel 2010 la potenza installata è stata quasi tre volte maggiore.
La stessa Epia solo alla fine del 2008, vista la rapidità dei cambiamenti del mercato e l'introduzione dei nuovi obbiettivi vincolanti europei, ha cambiato passo lanciando l'ambizioso obbiettivo di una produzione fotovoltaica in grado di soddisfare il 12% della domanda elettrica europea entro il 2020. Le prospettive di questa tecnologia sono ancorate, peraltro, al prossimo raggiungimento della grid parity, cioè a quando il costo del kWh solare sarà inferiore a quello della bolletta, in molte aree del Sud Europa.
Tenendo conto delle evoluzioni in atto, riteniamo che alla fine di questo decennio si potranno avere in Italia molto più degli 8 GW indicati nel Piano Nazionale delle rinnovabili. Ci sembra realistica una stima compresa tra 20 e 30 GW. Obbiettivi così elevati, possibili grazie alla riduzione dei costi del solare, consentiranno un'espansione del mercato con incentivi fortemente ridotti. Ma per puntare così in alto, accanto alla decisa prevalenza degli interventi nell'edilizia, occorrerà avere una quota di interventi “qualificati” a terra coerenti con quel rilancio dell'agricoltura meridionale di cui si parlava all'inizio dell'articolo.
Un ultimo elemento di riflessione deriva dal fatto che, nel nostro paese dobbiamo confrontarci con il rischio del ritorno al nucleare. Una produzione solare di 25 TWh nel 2021, sarebbe più che doppia rispetto a quella del primo reattore EPR, che a quella data sarebbe però ancora solo in costruzione. Peraltro si consideri che gli impianti fotovoltaici tedeschi installati nel solo 2010 sono in grado di generare tanta elettricità quanto quella di una centrale nucleare da 1.000 MW.
Dunque, il rinnovato impegno dopo Cancun per la riduzione delle emissioni climalteranti, l'accelerazione del mercato solare mondiale con relativa riduzione dei costi e il rischio di un ritorno al nucleare in Italia sono valide ragioni per accelerare una diffusione intelligente ed articolata del fotovoltaico nel nostro paese e contemporaneamente per rafforzare i comparti della ricerca e della produzione delle tecnologie solari. (Gianni Silvestrini Presidente Exalto, nonché direttore scientifico del Kyoto Club)
zeroemission.tv
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